Si torna a parlare di contabilizzatori di calore, in tema di efficienza energetica nei condomini. Peccato che questa volta non sia in chiave positiva.
E già, non tutte le soluzioni sono destinate a riscuotere il consenso sperato. Anche le più promettenti – o le più pubblicizzate – possono deludere le aspettative e fallire nel produrre i risultati sperati.
Ahimè, pare sia proprio il caso dei contabilizzatori di calore.
Contabilizzatori di calore: funzionano o no?
Facciamo un piccolo ripasso dell’argomento, a cominciare da cos’è un contabilizzatore di calore. Come suggerisce il nome, si tratta di un piccolo dispositivo che viene applicato a contatto con il termosifone per misurare il calore emesso.
Il suo scopo è infatti calcolare il consumo energetico effettivo del termosifone, in modo da determinare la spesa effettiva di ciascuna famiglia del condominio.
Purtroppo, i dati generali non dipingono uno scenario così positivo. Anzi, proprio tutt’altro. Già, perché sembra che innanzitutto i contabilizzatori di calore siano stati la scintilla per vere e proprie liti condominiali. Se già le assemblee di condominio non sono sempre momenti di scambio pacifico tra condòmini, questi piccoli apparecchi hanno creato attrito.
Più importante ancora è il mancato conseguimento dei risultati promessi. Si registra infatti un risparmio globale di appena il 5%, almeno che non siano stati effettuati interventi reali come coibentazioni o cappotti termici.
Insomma, un impatto positivo sui bilanci del condominio non così grande, che ha creato diverse perplessità.
La nuova norma Uni 10200
L’11 ottobre 2018 è stata pubblicata la nuova norma Uni 10200, con l’obiettivo di fornire i “criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale, estiva e produzione di acqua calda sanitaria”.
Nello specifico si parla di consumi volontari, ovvero dovuti all’azione dell’utente mediante i dispositivi di termoregolazione (calcolati attraverso i contabilizzatori di calore), e consumi involontari, causati dalle dispersioni di calore del sistema e della rete di distribuzione (stimati in base ai millesimi termici calcolati secondo il fabbisogno di energia termica utile dell’unità abitativa).
Tale norma introduce anche diversi aggiornamenti, tra cui citiamo:
- “La razionalizzazione e l’ottimizzazione dell’intera procedura di calcolo di ripartizione;
- l’introduzione della ripartizione delle spese anche nel caso di climatizzazione estiva o raffrescamento;
- l’introduzione di una metodologia per la ripartizione delle spese per gli edifici ad utilizzazione discontinua o saltuaria;
- una descrizione approfondita delle condizioni di utilizzo dei ripartitori di calore nel rispetto della UNI EN 834;
- l’introduzione di indicazioni specifiche in merito alla procedura di calcolo di ripartizione per alcuni casi particolari, come ad esempio le tubazioni correnti nelle unità immobiliari, o particolari configurazioni impiantistiche, come condominii articolati in più fabbricati;
- l’introduzione di una gerarchia a 4 livelli per la determinazione della potenza dei corpi scaldanti nel rispetto delle UNI EN 442-2 e UNI EN 834;
- l’introduzione delle modalità di valutazione per i fabbisogni dell’edificio e della singola unità immobiliare e per le perdite di distribuzione (Appendice D).”
In conclusione, rimane sempre valida la nostra posizione di far eseguire prima una seria diagnosi energetica e poi, in base alle risultanze, verificare la convenienza dell’installazione dei ripartitori. Inoltre, va ricordato che il sistema di calcolo della diagnosi energetica e certificazione si basa su valori convenzionali/tabellari, anziché dare importanza esclusivamente ai consumi reali.